Impiattamento da favola, ma quanto costa alla tavola?
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Stiamo vivendo un ciclo di esaltazione dell’estetica al ristorante, aspetto certamente molto positivo per l’esperienza del cliente finale, ma post Covid c’è da chiedersi cosa resterà della ristorazione che abbiamo conosciuto.


Il periodo Covid ha avvantaggiato alcuni settori e l'export del food di alcuni paesi come l’Italia, ma non la ristorazione. Lunghi periodi di lockdown, un’apparente ripresa con la bella stagione, il ritorno alle chiusure a singhiozzo, le città svuotate da smart working e paura, hanno messo a dura prova un settore in cui, già precedentemente, non si vedevano guadagni stellari.


A questo elenco si può aggiungere la grande difficoltà di reperire lavoratori che credano ancora in questo settore – trend già sofferente prima del Covid - e l’effetto dell’incremento del costo delle materie prime e dell’energia che in questi mesi si sta acuendo.


Come se non bastasse, è aumentata anche la percezione del livello di preparazione dei piatti, a causa dei programmi televisivi di cucina e in particolare Masterchef, che ha certamente contribuito ad innalzare la febbre da imitazione sia a casa che al ristorante.





Tutto bello, ma i conti tornano? Io credo di no.


Guardando dentro alcune cucine, si intravedono strumenti di ogni tipo per creare l’estetica del piatto e decorazioni articolate per stupire, il movimento sta trasformando le cucine in laboratori di architettura del cibo.


Sono convinto che, in ogni piatto di un ristorante medio, sia ormai incorporato un costo per l’estetica che può facilmente superare il 5% e arrivare al 20% dell’intero costo piatto. Persone di qualità addette alla composizione dei piatti e preparazioni aggiuntive ricercate con colori ed effetti estetici, vanno tutte considerate come minuti in più per ogni piatto rilasciato dal pass del ristorante.


La domanda che pongo a me stesso e a tutti gli addetti all’economia della ristorazione è se questo sia sostenibile. La parola “sostenibilità” ha un significato molto ampio e la ricerca dell’essenza è l’orizzonte a cui si dovrebbe ispirare, mi viene in mente il risotto giallo che cucina magistralmente mia mamma messo dentro i piatti che hanno la mia età. Post Covid probabilmente sarà necessario trovare economie e nuove soluzioni che guardino soprattutto all’economia sostenibile e al conto economico finale.


L’esperienza al ristorante è quanto di più soggettivo si possa immaginare, ma il richiamo all’essenza è, a mio parere, quanto di più vicino ai concetti di sostenibilità ed etica dei prodotti. Se le diete ci suggeriscono attenzione, vivere l’esperienza ristorativa può diventare un momento di evasione, forse liberatorio in questo periodo.


Voglio immaginare un ristorante del futuro fatto di essenzialità e richiamo a bontà e sapori un po' dimenticati o nuovi, rispettosi della natura, sostenibili anche nel costo.


Meno persone in sala, più spazio a piatti unici, più ricerca sui prodotti e le loro peculiarità, meno lavorazioni, il tutto per ridurre i costi e rendere sostenibile l’attività.


L’estetica, pur restando una caratteristica intrinseca del nostro popolo, deve rimanere minimale e accessoria, non essere la protagonista, altrimenti lo scopo principale verrebbe sacrificato. È già accaduto nella moda, dove le super modelle erano diventate più importanti dello stilista nelle sfilate. Anche lì si è tornati alla normalizzazione dopo un eccesso, speriamo che si torni all’equilibrio anche nella ristorazione, il settore ha bisogno di rialzarsi considerando che è un pilastro essenziale della nostra economia e la cabina del marketing del mangiare bene che il nostro Paese deve richiamare anche per l’export del food.


Siamo ciò che mangiamo, ma il cibo alla fine deve arrivare.



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